Athar Rem Hadid




Il mio nome è Athar Rem Hadid, sono nato a Floating Woods il 15 marzo 2024, professione apprendista bibliotecario.
O almeno credo.
L'ho letto nel passaporto che ho trovato nel cassetto della mia scrivania, e non so ancora molto altro di me, di questa mia nuova esistenza nelle Terre della Sopravvivenza.
Il documento attesta che mio padre è olandese, mia madre britannica di origini irachene, ma il passaporto è italiano, ed io stesso, almeno di questo sono certo, so di essere italiano. Ma avverto anche la sensazione di aver vissuto in molti altri luoghi che ora mi è difficile definire con precisione. Sarà stata questa eterogeneità di origini e domicili a togliermi ogni riferimento affettivo e spingermi a compiere il passo che qui voglio confessare?

So che mio padre non sa della mia esistenza. Che mia madre, lontana da lui e da me, è morta. Che si erano conosciuti a Londra negli anni '70 del ventesimo secolo alla Architectural Association. Entrambi architetti, capofila e massimi esponenti della corrente decostruttivista, lui dapprima fu suo professore e poi lei sua associata e infine ognuno per sé, in sfolgoranti carriere da pluripremiate archistar planetarie.
I loro nomi ora sono nel mio cognome, ma non la loro genialità.
Purtroppo.

Quanto al mio nome, Athar, scopro da copie di antichi libri (che il mio predecessore in questa luminosa torre che mi ospita si premurò di replicare) che mi fu imposto in onore di un nobile antenato. In epoca medievale, in fuga da terre assediate, approdò al continente perduto di Palder. Con tenacia e ingegno, diplomazia e rettitudine divenne vassallo nel ducato di Haron, e fu a tutti noto col nome di Athar il Moro, principe di Modicia, signore di Lungopasso.
Molti secoli sono trascorsi, scivolati via veloci come pesci nella corrente, ed ora di quelle vicende restano solo pochi scritti che da rare testimonianze hanno distillato leggende. Niente altro rimane, nulla resta di quei luoghi, svaniti nel vorticoso vuoto che ogni cosa inghiotte nel succedersi delle infinite espansioni di questo strano universo. 

Ed è ora il mio turno.
Sono nato in questo terre cui nessuno ha dato un nome. O forse vi sono giunto già nato altrove, ma so che qui, in questo embrione di città giardino fui concepito. E non parlo della mia persona fisica, irrilevante dettaglio di una ben più lunga vicenda, ma del mio scopo, della missione che mi è stata affidata e per compiere la quale sono stato chiamato ad esistere.
Non so come avvenne, come fu e perché il sogno di bellezza di un visionario si trasfuse in chi prima di me realizzò più volte questa città, desiderata ed apparsa nella mente come un miraggio.
"I miraggi ingannano gli occhi ma rinforzano il desiderio" fu detto dal primo profeta, il secondo a me impose: "I desideri più puri, per quanto possibile, andrebbero esauditi." Il primo si chiamava Skywalker, il secondo Moroboshi. Ad entrambi loro sono destinato a succedere.

Dunque un giorno qualunque si accende la coscienza, e io mi sento come un'ombra dimenticata a cui sia stato donato un corpo. E mi ritrovo nel fitto di un bosco, montano e silente, senza nulla con me. Tra larici e felci la terra scoscende nelle anse di un fiume, allo sfociare del quale sulla costa di un lago alti grattacieli svettano opposti al tramonto e mi attraggono. Capisco di dovermi affrettare a raggiungerli prima del buio, avverto l'ansia che mi incalza all'avvicinarsi dell'oscurità. Voi mi capite, affettuosi lettori, sapete di cosa parlo, perché è accaduto anche a voi, un giorno molto lontano di cui ora avete perduto il ricordo, chiuso in chissà quale baule. Ci si lascia tutto alle spalle e si entra spauriti nelle Terre della Sopravvivenza. Ma questa volta nessuna paura in me, la guida che ha preparato il mio avvento ha fatto in modo che io possa proseguire sicuro il cammino.

Incontrai il mio maestro una volta sola, ma la sintonia fu immediata e totale, e penso ora che quell'incontro non fosse casuale ma previsto nel naturale fluire dell'universo che confondiamo con il destino. Lui presentava il suo libro in un circolo di lettori, io ero il giovane relatore cui era stato affidato il compito di moderare la conversazione. E avvenne che le sue parole e le mie fluivano in quella colta assemblea dapprima alternandosi in armonica risonanza e poi, così mi parve, come fossero unisono raccontare di una stessa storia, di una stessa emozione. Io ero nella sua mente e lui nelle mie parole.
Il libro raccontava di mondi scomparsi e rinascita delle anime, ma ciò che al lettore appariva un'opera di fantasia, io realizzai fosse vicenda vera, realmente accaduta. Così confermò il maestro, quando ci salutammo alla fine della serata. Lui aveva realmente attraversato quei mondi, e farne un racconto era stato il suo modo per superare il dolore della loro scomparsa, per trasformarli in leggenda e consegnarli all'eternità, o almeno a quella piccolissima parte di eternità che noi mortali riusciamo a scorgere. Poi d'improvviso qualcosa di intimo accadde, e ne fummo illuminati. Riconobbe in me una parte di ciò che lui era stato. Io vidi in lui qualcosa di ciò che forse avrei voluto essere. Il maestro si aprì a me, confidò la sua limpida nostalgia del regno perduto, e il suo desiderio, che mi parve l'ultimo, di restare per sempre in quei luoghi irreali (ma perché mai, ragionammo entrambi, la fantasia ed il virtuale non potessero essere ritenuti reali?).
Mi propose di diventare il suo successore, in modo che, se avessi accettato, lui avrebbe potuto più serenamente lasciarsi alle spalle il ricordo di ciò che non poteva più essere, e tornare per sempre alla dimensione cui era appartenuto, al mondo di Heon, nelle Terre di Eldaria.
Mi convinse a provare, mi guidò sulla soglia delle Terre della Sopravvivenza, mi indicò un luogo da raggiungere e una missione da compiere.
Mi donò una spada incantata, di puro diamante, certo che ne avrei fatto l'uso per cui fu forgiata.
Infuse in me ogni suo sapere, ogni suo sentimento, ogni suo sogno. E fece di me Athar Rem Hadid, il discepolo che una notte tagliò la testa del suo maestro, Ataru Moroboshi di Heon, forse per liberarlo, forse per prenderne il posto ed il prestigio.

Lavata del sangue, della sua testa farò una reliquia, nella sua città che porterò a perfezione.
Non so più chi fui prima di essere Athar, ma conosco il mio ruolo, so chi dovrò essere. E dovrò esserne degno.



In copertina: Joan Miró., La speranza del navigatore





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